Da poche settimane è uscito Revolution, il nuovo album dell’artista romano AKES. Secondo gli addetti ai lavori questo progetto “mette in atto una vera e propria rivoluzione artistica, estetica e culturale rispetto ai modelli del mondo Hip-Hop e a quanto maturato in questi anni”. Voi cosa ne pensate, siete curiosi? Qui l’intervista esclusiva per JamSession 2.0 ad AKES.

Come mai hai scelto lo pseudonimo AKES?

“Era la mia tag quando facevo graffiti a 15 anni. Quando ho cominciato a registrare le prime rime ho tenuto lo pseudonimo, simile al mio nome Alessandro, ma un po’ più accattivante con la ‘K'”.

Come ti presenteresti a chi ancora non ti conosce?

“Sono l’eletto del rap italiano. Colui che cambia le regole del sistema a suo piacimento e risveglia le coscienze con una musica cyber emotiva”.

Con Revolution, il tuo ultimo album “metti in atto una vera e propria rivoluzione artistica, estetica e culturale rispetto ai modelli del mondo Hip-Hop” attuali. In cosa sei rivoluzionario a livello artistico?

“Nel sound delle canzoni, dalle basi alle voci glitchate e robotiche con cui mi piace giocare. Anche al livello lirico le mie canzoni attaccano chi si omologa, chi fa uso di droghe e chi instaura rapporti superficiali. Non mi vanto nelle mie canzoni, non ci sono rime su quanto io sia bravo. La rivoluzione sta nel mettere a nudo le proprie emozioni per poter coinvolgere e lanciare un messaggio a chi vuole cambiare le cose”.

A livello estetico e culturale?

“Dall’outfit fino alla produzione dei contenuti multimediali sono l’anomalia. Non vesto di marca e tutto colorato come un trapper, mi piacciono i vestiti minimali e futuristici. Porto questa estetica sci-fi e cyber pure nei videoclip e anche nella pubblicazione sono anti-sistema visto che finora ho raggiunto risultati considerevoli completamente da indipendente”.

I titoli dei brani contenuti in Revolution hanno termini molto in uso in questi anni: Revolution appunto, Ribelle, Loop, Dejavu, Fuck the System, ecc. Secondo alcuni sarebbe stato forse più affine al tuo concetto di rivoluzione usare parole nuove, magari coniate da te, più originali, poco sentite.

“Ho pensato che la semplicità fosse il modo migliore per comunicare l’omologazione cybernetica che stiamo vivendo. Quelle dei titoli sono parole di tutti i giorni che celano concetti parecchio profondi. La rivoluzione sta nel modo in cui snocciolo questi termini nelle canzoni. Dei titoli più personali avrebbero confuso chi ancora non mi conosce. Se il concetto è “fanculo il sistema”, meglio specificarlo già dal titolo. Se il concetto è la ripetizione di azioni ossessive e controllate dalla tecnologia “Loop” e “Dejavu” sono titoli diretti”.

Cosa manca all’hip hop italiano odierno?

“Mancava la mia visione cyber emotiva, eheh”.

Ci sono esponenti che stimi particolarmente?

“Se parliamo di rap, Fibra, Marracash, Gué Pequeno, Kanye West ed Eminem, tutte leggende che hanno messo in musica le loro emozioni. Per i generi che esulano dal rap amo molto il new metal: Linkin Park, Evanescence, Sum 41, Three Days Grace, etc. Anche l’elettronica mi appassiona molto con i Daft Punk, Gesafflestain e Hardwell”.

La tua musica ha un messaggio specifico: cosa vuoi trasmettere al pubblico?

“La voglia di ribellarsi a tutta l’oppressione che questa società pone nei confronti dei nostri sogni e dei nostri sentimenti”.

Quanto ha influito questa pandemia di covid-19 con i tuoi testi e il tuo genere musicale?

“Durante questo periodo le mie riflessioni ‘complottistiche’ hanno avuto un motivo in più per essere tramutate in canzoni. Avevo però cominciato ad esprimere le stranezze del sistema con le mie canzoni del 2019 ‘Amore 2.0’, ‘Delta 9’ e ‘Premi per sbloccare'”.