Degà, all’anagrafeGaetano Marrone, ci apre le porte del suo mondo indie, del suo modo di vivere l’amore e la vita odierna. Tutto questo grazie ad una brillante ed eterogenea intervista che ha rilasciato in esclusiva a Jam Session 2.0 e che piacerà ai più, anche a chi non conosce il genere o lo stesso artista. Quindi mettetevi seduti, sorseggiate un drink, accompagnatelo al più dolce dei sentimenti e ascoltate il karma…anzi, Degà.

“Gin Tonic” è il tuo ultimo singolo. Nel testo si parla di un amore finito e della conseguente preoccupazione del futuro, della mancanza di certezze: è una metafora per parlare del periodo attuale?

“Su due piedi ti dico di no, anche se il brano l’ho scritto durante il primo e vero lockdown quindi, forse, l’inconscio ci ha messo del suo. Però se dovessi scrivere una canzone che metaforicamente parlasse di questo periodo sicuramente la farei di auspicio ad un periodo migliore e sicuramente userei un ritmo più incalzante”.

“Gin Tonic” viene descritto come “l’amore ai tempi dell’indie”. Hai notato delle ricorrenze nella rappresentazione dell’amore in questo genere musicale?

“Ovviamente l’amore si può rappresentare in ogni genere come lo si vuole. Io personalmente, per il modo di scrivere, anche altre canzoni, mi ci ritrovo alla grande. Posso permettermi un linguaggio eterogeneo, posso parlare di ‘esami di odontoiatria’, ‘quartieri cittadini’, ecc. Ma allo stesso tempo posso non perdere la vena melodrammatica italiana che mi rappresenta”.

Nessun dettaglio è lasciato al caso nel tuo brano e ci sono tantissimi elementi distintivi. Come se nella mente del protagonista si palesassero frame del passato, del presente, compaiono location romane, sfumature emozionali, ma anche un suono di chitarra acustica ben evidente. Tutti questi elementi sono come pensieri che si rincorrono nel protagonista, del ragazzo lasciato solo con la sua tristezza e preoccupazione?

“Sì, il protagonista vive un totale stato di shock nostalgico che gli porta una paralisi del presente. E quindi la cattiva qualità di pensiero, lo proietta in un futuro con poche buone aspettative. Ma palesando il proprio stato di disagio, a volte, si esorcizza un male”.

Anche il videoclip ufficiale è molto interessante. I protagonisti sono ripresi soprattutto in primo piano e sono evidenti i cambi di espressione, si leggono bene i vari sentimenti. E´ un modo per enfatizzare ciò che racconti o solo un dettaglio puramente scenografico?

“Assolutamente un modo per raccontare al meglio la canzone. Ho pensato che niente meglio di un primo piano potesse rappresentare lo stato d’animo del protagonista. Le espressioni degli attori ti accompagnano man mano, quasi in modo didascalico, all’evoluzione dello stato d’animo del narratore, dalla felicità all’ottimismo del primo incontro passando per il viaggio a New York, programmato e mai fatto, fino alla preoccupazione ossessiva del futuro”.

Ma la scelta di girare il clip in un parco?

“Il videoclip è girato sempre a Roma, a Villa Borghese, l’idea è stata quella di concentrare il focus, come dicevo prima, soprattutto sull’espressione dei protagonisti e di lasciare come unico sfondo la malinconia di un parco in autunno. Anche perché la storia si è consumata in autunno, proprio pochi giorni prima di quel viaggio a New York tanto aspettato, quanto rimpianto”.

In Gin Tonic si parla anche del drink come palliativo alla delusione amorosa. Ti sei mai trovato vittima dell’alcool, o hai mai pensato potesse affogare davvero i dispiaceri?

“Non personalmente, a parte qualche eccedenza leggera nella gioventù. Poi, con gli anni, ho maturato che bisogna vivere il lutto del dolore. L’alcool a volte con il dovuto dosaggio può essere una forma di divertimento, ma non è Mai stato e non sarà Mai un antidoto contro il dolore, semmai il contrario”.

Pensi che qualcuno possa ritenere questo elemento di “cattivo esempio” per chi ascolterà il brano?

“Spero di no, anzi, nel brano si racconta di quanto l’utilizzo di un espediente del genere possa risultare devastante. Anche se a dire il vero ho avuto qualche problema con la campagna pubblicitaria sui social, mi hanno bloccato la sponsorizzazione al di sotto dei 18 anni per via del riferimento al cocktail sia nel testo che nel titolo. Considerando quello che fanno oggi i teenager, a me questa cosa fa veramente un po’ ridere”.

La storia di Gin Tonic è autobiografica? 

“Sicuramente in ogni canzone c’è un po’ dell’autore, anche in questo caso in cui la storia del protagonista è il racconto di una confidenza di un mio amico. Però nel momento in cui entri in vena creativa è inevitabile che vai a scavare nell’archivio delle tue emozioni, per rievocare un’esperienza dolorosa che ti aiuta a raccontare meglio la canzone, un po’ come l’attore di teatro che deve piangere. Chi di noi non ha mai sofferto per amore?”

Quanto conta l’amore e la situazione sentimentale nella stesura di buoni testi musicali: è una buona fonte di ispirazione?

“Sicuramente è uno stato emotivo molto forte quindi è normale che ci sia un’ispirazione importante. È inutile dire che dall’inizio della storia della canzone fino ad oggi gran parte delle canzoni sono state scritte per amore, da ‘O surdato ‘nnamurato‘ scritta da Aniello Califano fino a ‘Per due come noi‘ di Brunori, da Domenico Modugno a Calcutta“.

Tu sei innamorato oggi?

“Posso dire di sì! Sentimentalmente sono in un periodo molto felice della mia vita”.

Quale brano di altri ti sarebbe piaciuto scrivere?

Marmellata #25 di Cremonini. A parte il fatto che è stata scritta nel 2005, ma è in super linea con quello che è diventato, ed è, l’indie oggi, anzi, credo che Cremonini sia il padre dell’indie. Perché avrei voluto scriverla? Beh, il ritornello ti risponde da solo: ‘ah da quando Baggio non gioca più…non è più domenica’. Per un ragazzo cresciuto negli anni novanta questa è molto di più di una semplice frase di un ritornello”.

E´ in lavorazione il tuo album, puoi darci qualche anteprima che ancora non hai svelato?

“Mmmm…diciamo basta alla malinconia per un po’. Come dicevo prima, il miglior modo per esorcizzare un dolore è parlarne, nel mio caso cantarlo e suonarlo. Ovviamente mi riferisco al periodo storico in cui stiamo vivendo, è diventato davvero pesante tutto quello che sta succedendo, adesso basta! Voglio iniziare un 2021 all’insegna della leggerezza, cercando di non snaturare quello che è Degà“.

Come mai hai scelto il nome d’arte Degà?

“Amo l’impressionismo, in particolare modo Edgar Degas, mi piacciono le ballerine, mi chiamo Gaetano ‘De Gà’ come se volessi dire: ‘Rigurado Gaetano’“.

Hai hobby curiosi o abitudini particolari?

“Hobby curiosi no, sono un classico italiano a cui piace giocare semplicemente a calcio (ultimamente quasi mai) e a Natale ed in estate gioco a carte, nel mezzo tanta, ma tanta curiosità per la musica. Abitudini? Molte, una di queste è iniziare serie su Netflix e non finirle. È un anno che sono fermo alla prima stagione di Stranger Things e sono due anni che cerco di vedermi Breaking Bad, mi sono posto un obiettivo quasi impossibile per questo fine 2020, finirle tutte!”

Hai aforismi preferiti?

“Te lo dico in napoletano: ‘Dicette o pappice vicino a’ noce, ramm’ o tiemp’ ca te spertose’. Cioè ‘Disse il verme alla noce: dammi tempo che ti perforo’, in poche parole: Perseveranza. Sono convinto che il duro lavoro e la pazienza uniti al tempo diano ad ognuno avrà quello che si meritano, anche se spesso non danno risultati immediati. Ci vuole molta calma, e molto karma”.