Ciao e benvenuto.
Raccontaci meglio come nasce questo tuo nuovo progetto musicale, tra l’altro primo capitolo di un disco doppio che vede la luce in due diverse uscite nel corso di quest’anno: la prima prevista appunto per il mese di maggio e una seconda in arrivo nei mesi autunnali.
Una sorta di capitolo finale di una trilogia iniziata con “Lorem Ipsum (gli spazi comunicativi)” seguito da “Il Lupo Cattivo (il bosco da attraversare)” e che si conclude adesso con “Dove sei”, lavoro che si presenta già dal titolo senza punti interrogativi né esclamativi, bensì solo con la consapevolezza di essere qui, adesso.
Spiegaci meglio in dettaglio, cosa vuoi comunicare a chi ti ascolta? Chiudi un capitolo e cosa deve aspettarsi il pubblico da questo tuo nuovo progetto?
Ciao, grazie.
In realtà mi sono accorto che questo disco avesse molto in comune con i due precedenti solo una volta finite le registrazioni. Non era un’idea “pregressa” quella di costruire una trilogia e non credo in effetti che lo sia del tutto. Lo è in maniera ideale. C’è un rapporto, un filo rosso che lega i tre album dal punto di vista della narrazione: sono fasi di trasformazione che si incastrano nell’arco temporale attraversato. ‘Lorem Ipsum’ lavorava sulla comunicazione, soprattutto con l’esterno alla ricerca di comprensione mentre ‘Il Lupo cattivo’ rivolgeva lo sguardo all’interno. Con ‘Dove sei’ siamo usciti dal bosco eppure siamo ancora confusi e alla ricerca di strade precise. E’ una sorta di lavoro sul rito di passaggio all’età adulta, ammesso che esista veramente. Non so cosa deve aspettarsi chi avrà la voglia di ascoltarlo, è un lavoro denso a mio modo di vedere con tante sfumature e una musicalità nuova, un approccio più morbido rispetto ai miei lavori precedenti.
“Dove sei pt.1” è stato anticipato, tra l’altro, ad aprile dal singolo e videoclip “Il sorpasso” feat. C.U.B.A Cabbal pubblicati sul canale Youtube ed altri estratti dal disco sono il brano “Il fraintendimento di John Cage”, rilasciato a marzo, e il videoclip “Mi dai dei soldi” pubblicato a dicembre 2019, che vede la collaborazione con il drammaturgo e attore Andrea Cosentino, vincitore del Premio Speciale Ubu 2018.
Raccontaci di questa esperienza, come è stato collaborare e rapportarti con questi artisti? Cosa ti hanno trasmesso? Vuoi fare un ringraziamento speciale a coloro che hanno partecipato alla realizzazione del tuo nuovo album?
Lavorare con altri artisti è un momento speciale. Ti consente di ascoltarti da un nuovo punto di vista e aggiunge molteplici significati nuovi a quello che stai facendo. E’ uno spazio di confronto e di liberazione; qualcosa di tuo diventa qualcosa di collettivo. Ma così è stato per tutto il lavoro sul disco. E’ un lavoro che parte da un gruppo di persone che prima di tutto si amano profondamente è un lavoro di insieme, un lavoro collettivo appunto. Più che ringraziarli, dire a loro devo tutto.
Oltre a questi 3 estratti, c’è una canzone in particolare del tuo album al quale sei maggiormente legato e pensi valga la pena soffermarsi ed approfondire in dettaglio per coloro che ti ascoltano?
No, le amo tutte in maniera diversa, ma questa è la nostra malattia.
Parliamo un po’ più di te.
Classe 1981, nasci e cresci nella città di Roma fatta eccezione per una parentesi statunitense.
Come inizia la passione per la musica? Che ricordi hai della tua infanzia?
Inizia proprio negli Stati Uniti, avevo 17 anni. Fino ad allora avevo studiato controvoglia chitarra classica (ben sette anni di studio) ma non mi aveva portato da nessuna parte né entusiasmato. Negli Stati Uniti, ad Indianapolis per la precisione vado a vedere un concerto dei FearFactory (mi portano gli amici di lì). In apertura c’era questa band semi-sconosciuta (allora) di nome Stystem of a Down. Il moshpit fu devastante. Presi una scarica di calci e cazzotti che mi catapultò in fondo alla sala, ma mi fece anche capire che quella cosa lì di fare casino su un palco era proprio la mia strada.
Il tuo debutto risale all’anno 2000 quando tornando a Roma formi la band di happy rock’n’roll “Yugo in Incognito” e, occupandoti dei testi e della voce, pubblicherai poi un disco e due ep: Puppurri (2003) “C’hai nis demo-cracy” e Uomini senza gomiti (2013).
Nel corso degli anni collezioni numerose esperienze e traguardi come quello di fondare nel 2005 lo studio di registrazione “Monkey Studio” che ti darà l’opportunità di occuparti di numerose produzioni, accogliendo un gran numero di artisti e diventando in tutto e per tutto un sound engineer. Figura professionale sempre più presente ed importante sulla scena musicale.
Cosa puoi dirci a riguardo? Sicuramente questo ti ha permesso di avere una visione più ampia a livello musicale che ti ha aiutato ad avere una maggior maturazione e crescita, ma anche responsabilità artistica …
Sicuramente. Mi ha aiutato anche a vedermi da fuori. Lavorare con chi sta preparando il suo disco ti da l’opportunità di scoprire parti di te che ritroverai quando sarai tu a lavorare al tuo. Insomma ti restituisce esperienza ma anche un filtro nuovo con cui guardarti quando sei al lavoro. E poi avere l’opportunità di lavorare accanto ad altri musicisti e autori ti riempie se hai voglia di stare ad ascoltare con attenzione, ti nutre. Moltissimo.
Ti sei laureato in Scienze dello spettacolo alla Sapienza di Roma e, successivamente, in Conservatorio dove hai frequentato il corso di Musica Elettronica avvicinandoti, durante questi tuoi anni universitari, anche al mondo teatrale e della recitazione. Passione che influenzerà inevitabilmente il suo stile musicale.
Quali sono gli artisti ai quali ti ispiri e che maggiormente influenzano il tuo sound e le tue composizioni?
Vado a periodi. Negli ultimi anni sono dentro con tutte le scarpe al mondo dello spoken-word: Kate Tempest, GhostPoet, Akua Naru, in Italia Murubutu.
Lucio Leoni, un giorno, vorrebbe tanto collaborare con … ? Kate tempest 😉
Ripercorrendo le tue pubblicazioni come cantautore ricordiamo:
2011, anno del tuo esordio, l’album “Baracca e Burattini” (uscito solo come musicassetta) sotto il nome di Bucho;
2015 per Lapidarie Incisioni “Lorem Ipsum”, il primo album firmato Lucio Leoni dal quale sono stati estratti 3 singoli e altrettanti video “Luna” “Domenica” e “A me mi” ottenendo con quest’ultimo da subito importanti riscontri da parte del pubblico, consacrando il tuo talento e la particolarità del tuo stile artistico;
2017 “Il Lupo Cattivo”, disco di inediti pubblicato da Lapidarie Incisioni/iCompany – distribuzione Sony, album che ti ha permesso di vincere la prima edizione del Premio Freak, premio dedicato alla figura di Freak Antoni lanciato dal MEI, COOP Alleanza 3.0 e dall’ Associazione We Love Freak, con il sostegno della Regione Emilia Romagna. L’album è stato recensito da molte testate giornalistiche e trasmissioni televisive e ti ha visto anche impegnato in un tour di presentazione di oltre 60 concerti in tutta Italia, concludendosi a Roma con una data speciale a Villa Ada nell’estate 2019. Hai realizzato inoltre diversi live set in apertura ai concerti di artisti come The Zen Circus, Tre allegri ragazzi morti, Motta, Edda, Giovanni Truppi, Giorgio Canali, Frankie Hi-Nrg Mc;
2020 è l’uscita del tuo nuovo progetto discografico “Dove Sei pt.1” di cui stiamo appunto parlando.
Dovendo fare un bilancio, dai tuoi esordi ad oggi, come è cambiato e si è evoluto il tuo modo di scrivere e comporre?
Credo che la differenza più grande, almeno nell’ultimo lavoro, sia l’ascolto. Come ti dicevo prima questo è stato un lavoro collettivo e l’attenzione alle proposte, alle idee, alle suggestioni dei musicisti con cui ho lavorato mi hanno restituito un immaginario del tutto nuovo. Questo ha dato anche uno spazio diverso alla scrittura. Nel corso degli anni sono passato dall’utilizzo della prima stesura alla correzione e revisione quasi maniacale di ogni frase, ogni parola.
Ascoltando i tuoi pezzi si percepisce una gran voglia di voler ‘raccontare’ e ‘raccontarsi’, ma soprattutto ‘sperimentare’.
Da dove arriva questa tua forte esigenza?
Credo che la sperimentazione sia parte integrante del nostro lavoro. La musica è un linguaggio pazzesco e accomodarsi su forme prestabilite sarebbe (almeno per me) noioso, poco stimolante. Un linguaggio si modifica, si evolve, si trasforma, è compito di chi scrive di forzare e spingere la soglia in luoghi inesplorati, anche a costo di non incontrare il favore dell’ascolto.
Purtroppo in questo periodo stiamo vivendo un dramma a livello globale che ha penalizzato maggiormente il settore musicale ed artistico.
Quale messaggio ti senti di condividere?
Sarà un tempo molto difficile. Bisognerà essere attivi il più possibile ed elaborare forme e modelli diversi, altri. Bisognerà tornare ad occuparsi della “politica musicale” perché le cose andavano male già da prima, questa pandemia ha solo messo in luce le crepe di un sistema che era in grande difficoltà già da prima. C’è da rimboccarsi le maniche e lamentarsi un pizzico di meno.
Vuoi aggiungere qualcosa?
Grazie mille 🙂