Foja, band tra i principali esponenti di un sound che parte dalla tradizione folk napoletana per poi arricchirsi di sonorità attuali. Il gruppo ha realizzato diversi album in studio e composto colonne sonore per lungometraggi di animazione candidati ai David di Donatello. Oggi, Dario Sansone, frontman e cantante dei Foja, ci presenta il nuovo album Miracoli e Rivoluzioni e risponde alle nostre domande.
Chi sono i Foja?
“I Foja sono una band attiva da circa 15 anni, nata per condividere una passione vera per la musica e per consolidare attraverso di essa un’amicizia vera”.
Da cosa deriva il nome della band?
“L’esigenza era quella di scegliere un nome che fosse di impatto, non troppo lungo, e che potesse riassumere in 4 lettere la nostra visione delle cose: la ‘foja’. In italiano non ha una traduzione letterale (come tantissimi altri termini della nostra lingua), ma se volessimo riassumere il concetto lo possiamo ricondurre ad un’energia sana che nasce da dentro e che ha la necessità di venire fuori”.
“Miracoli e Rivoluzioni” è il vostro nuovo album, come è nato?
“Questo album ha una gestazione lunga perché le canzoni le avevamo scritte circa 3 anni fa, ma con la pandemia si sono dilatati i tempi, non solo di vita, ma anche di produzione. Nasce in ogni caso dall’esigenza di veicolare un doppio messaggio: il primo quello di afferente la condizione sacrale del miracolo e riferita alla sfera sentimentale/amorosa, il secondo invece più connesso alla sfera sociale e alle rivoluzioni interiori e collettive che dovrebbero spingere verso un cambiamento”.
Ci sono dei feat importanti, tra cui quello con Davide Toffolo, come è nato? Cosa avete in comune con lui e con I TARM?
“Con Davide Toffolo abbiamo in comune due percorsi, uno artistico/musicale, l’altro artistico/fumettistico (se così possiamo definirlo). Io (Dario Sansone) e lui ci conosciamo da tanti anni perché entrambi disegnatori e musicisti. Avevamo in mente da tanto tempo di collaborare musicalmente e “A cosa stai pensando?” mi è sembrata la traccia giusta per chiedergli delle barre di testo”.
Quali sono i Miracoli e le Rivoluzioni che hanno fatto nascere l’album e i singoli brani?
“La produzione artistica di per sé è sempre un miracolo perché è la traduzione delle emozioni in musica. È sempre complicato riuscire a farlo nel modo più verosimile possibile e soprattutto con la complicità di un pubblico che non vuoi disattendere. Sicuramente l’ispirazione è la componente più importante oltreché l’osservazione. La scrittura nasce da questo connubio che è indissolubile e deve necessariamente rapportarsi alla capacità di creare un immaginario attraverso le parole”.
Quali Miracoli e Rivoluzioni vorreste per voi come band?
“Il Napoli campione d’Italia sarebbe un ottimo miracolo e anche una grande rivoluzione. A parte gli scherzi, parafrasando Massimo Troisi per noi non esiste “O MIRACOOLO” e “o miracoolo”. Tutto quello che può servire alla nostra crescita umana e artistica fa parte di quel fenomeno giornaliero che può essere etichettato come miracolo e rivoluzione allo stesso tempo, due facce della stessa medaglia insomma”.
Un Miracolo o Rivoluzione per la musica italiana?
“La musica italiana avrebbe bisogno di trovare delle strade nuove da un punto di vista produttivo, oltreché di scrittura. C’è un appiattimento delle idee che coinvolge artisti della vecchia guardia (con le dovute eccezioni sia chiaro) che si cimentano con le nuove sonorità troppo spesso senza metterci un valore aggiunto. La scrittura soprattutto non trova sbocco, c’è un impasse creativo che necessiterebbe di un miracolo in senso lato e di una rivoluzione in senso più concreto”.
Secondo voi è più facile fare musica oggi, rispetto a quando avete iniziato?
“Dipende dai punti di vista. Se prendiamo ad esempio il nostro ultimo disco, potremmo dirti che è più facile fare musica ora perché nonostante la distanza ‘pandemica’ siamo stati in grado di produrre molte cose utilizzando i nostri laptop e le schede audio personali. Quindi la tecnologia ci viene incontro su molti aspetti. Per altri invece potremmo dire che circola l’idea che sia tutto alla portata di tutti e questo può creare fraintendimenti sulla reale qualità del prodotto che viene concepito. La verità forse sta nel mezzo: utilizzare come leva i vantaggi dell’home recording e delle produzioni bed-based ma non dimenticare come si imbraccia uno strumento e l’empatia della produzione tradizionale”.
C’è chi ha notato che le band e i musicisti vecchio stampo cercano virtuosismi dopo anni di lavoro, si cimentano anche in diversi stili mentre chi è mainstream resta ancorato all’immagine originaria: lo avete percepito anche voi? Si tratta di qualcosa di imposto?
“Forse il mercato sancisce determinate direzioni ma il panorama è abbastanza ampio affinché si possano intravedere tutte le sfumature, che si parli di un musicista ‘vecchio stampo’ o di un artista ‘mainstream’. La verità per noi è che il virtuosismo fine a sé stesso non ha ragione d’essere se alla base non c’è un messaggio, se manca l’arte. Per come concepiamo noi la musica, non si può essere autocelebrativi e mostrare i muscoli perché si ha la consapevolezza di saperlo fare. Pino Daniele da questo punto di vista è un esempio lampante: musicista di prima fascia, approccio ‘vecchio stampo’, attitudine mainstream (ma quasi senza volerlo…)”
Su quali palchi vi piacerebbe portare la vostra musica, oggi?
“Ovunque sia possibile avere lo spazio e la visibilità giusta, non credo ci siano censure da parte nostra in tal senso. Certo se ci chiamano al congresso del ‘movimento populista’, difficile che accetteremo, esiste sempre una coerenza del pensiero prima che della produzione artistica”.
Prendereste in considerazione Sanremo per farvi conoscere ai più? Perché?
“Se cambiassero il regolamento molto volentieri perché al momento non ci è permesso partecipare essendo noi una band che scrive in dialetto. Di sicuro possiamo sostenere che non sarà un palco dell’Ariston a ‘costringere’ la nostra libertà di scrittura, che al momento vede nel dialetto la forma più diretta e onesta di esprimerci”.