Il 27 Novembre 2020 è uscito “Latlong” il nuovo album di inediti dei CAMPOS, terzo lavoro discografico della formazione nata dalla collaborazione tra Simone Bettin (già co-fondatore dei Criminal Jokers) e il musicista e producer Davide Barbafiera, ai quali si aggiunge il bassista Tommaso Tanzini.
Scambiamo due chiacchiere con loro.
Ciao e benvenuti.
A distanza di soli due anni dal vostro precedente album “Umani, vento e piante” tornate con un nuovo lavoro discografico. Raccontateci in dettaglio.
Come nasce “Latlong” ?
“Latlong” nasce dalla voglia di proseguire e approfondire il percorso già cominciato con “Viva” e “Umani, vento e piante”. Con “Latlong” abbiamo provato a metterci più in gioco, sia dal punto di vista musicale che testuale. Non ci siamo fatti condizionare dalle aspettative ma abbiamo dato sfogo alla spontaneità e all’istinto, trovando in questo modo una strada che progressivamente ci ha guidati verso la consapevolezza di quello che stavamo facendo.
Abbiamo continuato con il cantato in italiano, cercando però di essere più coinvolti in quello che stavamo raccontando pur mantenendo un carattere narrativo che ci appartenesse.
Stessa cosa per la musica, abbiamo mantenuto le nostre caratteristiche principali cercando però di spingerci un po’ più avanti, senza stare troppo a pensare al risultato, ma facendoci guidare dall’istinto.
Il nuovo disco è composto da 11 brani, caratterizzato da un’atmosfera di suoni e colori ben definiti ma che lasciano anche spazio, a chi ascolta, un universo immaginario tutto da scoprire.
Con Latlong, inoltre, confermate anche la scelta della lingua italiana, pur mantenendo un sound dal respiro internazionale che rimane il vostro elemento distintivo che vi ha caratterizzato fin dai vostri esordi.
La prima traccia si intitola ‘Sonno’, singolo tra l’altro accompagnato anche da un video pubblicato su YouTube, che ha anticipato l’intero disco.
Noi, uomini e donne, siamo davvero quelli che preferiscono addormentarsi e non pensare? Perché è così difficile fare i conti con sé stessi?
Perché spesso abbiamo timore di scoprire chi siamo veramente. Capire che le scelte che facciamo sono in realtà compromessi, che la parte che mostriamo di noi non rispecchia quello che abbiamo dentro. Mettere in discussione quello che fino ad un momento prima consideravamo come certo, può essere liberatorio ma allo stesso tempo molto doloroso. Spesso preferiamo non pensarci.
Seguono poi le altre canzoni (le citiamo in ordine): Figlio del fiume, Santa Cecilia, Ruggine, Arno, Blu, Addio, Mano, Lume, Dammi un cuore, Paradiso (con ghost track Cane). C’è qualche brano in particolare ai quali siete maggiormente legati emotivamente? Se sì, quale?
A questa domanda è sempre difficile rispondere.
“Sonno” perché ci sembra il giusto brano di passaggio fra il nostro lavoro precedente (Umani, vento e piante) e questo (Latlong).
“Mano” perché ricorda un po’ le prime cose che facevamo e quindi ci fa capire da dove siamo partiti e il percorso che abbiamo fatto per arrivare fino a qui.
“Paradiso” perché ci piacciono le cose semplici e naif.
L’ascoltatore viene accompagnato in una sorta di viaggio, tra sonorità acustiche e innesti elettronici che danno vita ad un’ambientazione singolare, ispirandosi a storie di esploratori del passato, di aeronauti e di vulcanologi. Nel vostro comunicato stampa si aggiunge anche:
“Ma ne è rimasto ben poco. Non ci sono racconti: forse ci siamo avvicinati troppo e le figure hanno perso i loro contorni precisi. È rimasta la meccanica delle sensazioni. È tanta acqua. Ecco, sì: acqua. Il disco fa acqua da tutte le parti”.
Spiegateci meglio.
In che modo l’essere umano sembri aver perso la sua identità?
Probabilmente è soltanto un po’ confuso, non capisce bene dove si trova, qual è il rapporto con se stesso e con l’ambiente che lo circonda. Questo lo porta a provare una sensazione di smarrimento.
Quello che abbiamo cercato di raccontare e trasmettere è l’essenziale, ovvero quello che rimane addosso ai personaggi delle nostre canzoni quando gli ambienti che gli circondano sono solo accennati da qualche parola ed evocati attraverso la musica.
Nasce anche da questo presupposto l’idea di voler rappresentare il disco con una copertina originale, con figure non ben delineate?
L’artwork è stato realizzato da MYMO, un’artista tedesca conosciuta in Germania.
Sapevamo che lei avrebbe lavorato con paesaggi ed elementi naturali e che li avrebbe mescolati come più le piaceva. Questo era quello che volevamo, un paesaggio nuovo, immaginario. Un luogo non luogo dove potessero prendere vita e muoversi i personaggi delle nostre storie.
Quello che abbiamo fatto è stato semplicemente darle delle parole chiave, un paio di foto di sculture (tra cui quelle che si vedono al centro della copertina) e il disco da ascoltare. Il resto è frutto della sua immaginazione.
Alla realizzazione del disco hanno partecipato diversi vostri collaboratori che troviamo nei credits dell’album, volete fare qualche ringraziamento speciale a riguardo?
In generale dietro alla realizzazione di un lavoro ci sono sempre tante persone che apportano il loro personale contributo, anche non volendolo. Quindi risulta sempre difficile riuscire a ringraziare tutti. Per questo lavoro è stato comunque fondamentale il contributo di Giovanni Guerrieri, non solo per la collaborazione alla scrittura dei testi, ma anche per l’affetto e la passione con cui ci ha seguito durante tutto il processo di lavorazione. Un’altra persona che ringraziamo con affetto è Jacopo Vescio, un amico musicista sempre pronto a darci una mano.
Parliamo un po’ più di voi.
I Campos nascono nel 2011 a Pisa, dalla collaborazione tra Simone Bettin e Davide Barbafiera, nell’interesse di unire chitarre acustica, basso e percussioni elettroniche. Nello stesso anno Simone si trasferisce a Berlino e i Campos diventano un progetto a distanza.
Che ricordi avete di quel periodo? Come siete riusciti a portare avanti i vostri progetti?
Molto positivi. I nostri primi concerti li abbiamo fatti in Germania, quindi per noi è stato un periodo molto importante.
Nonostante vivessimo in due paesi diversi, più o meno una volta ogni due mesi riuscivamo a vederci, o in Germania o in Italia. Quando non ci vedevamo ci sentivamo via skype per parlare delle idee che ci eravamo scambiati online.
Siamo andati avanti così per qualche anno e sinceramente non abbiamo mai sentito la distanza come un impedimento. Per “Latlong” abbiamo lavorato in maniera simile durante il periodo di lockdown.
Il 3 marzo del 2017 esce il vostro primo disco “Viva” per “Aloch dischi”. Periodo dove subentrerà, tra l’altro, Tommaso Tanzini in veste di bassista. Con questa nuova formazione portate in giro il vostro primo lavoro, suonando più di 50 concerti lungo tutta la penisola, dalla data di uscita del disco fino a novembre dello stesso anno. Il secondo album intitolato “Umani, vento e piante” esce nel novembre del 2018 per “Woodworm”.
Chi sono gli artisti che hanno maggiormente influenzato il vostro sound e le vostre composizioni?
In generale stimiamo gli artisti che ricercano sempre forme nuove per esprimersi, che si mettono in gioco e non si accontentano di quello che hanno fatto e dei risultati ottenuti.
Per noi questo è molto importante. Facciamo alcuni nomi giusto per dare un’idea.
RZA dei Wu-tang Clan, J-Dilla, Sebastien Tellier, Sparklehorse, MGMT, Talking Heads e ce ne sarebbero molti altri.
Anche se ora purtroppo tutti i concerti sono fermi, è previsto un tour per la presentazione del nuovo disco? Prossimi progetti?
Ci piacerebbe parlare di tour ma probabilmente dovremo aspettare ancora un pochino.
Nel frattempo, stiamo provando i brani.
Grazie per la vostra disponibilità.