In televisione, parlano.
Nelle stazioni di polizia, parlano.
Parlano, parlano, parlano.. senza conoscerci.
Sono rimasta felicemente sorpresa da questo progetto, la musica è uno dei canali di comunicazioni più forti al mondo.
La musica ci fa emozionare, ci fa esternare i nostri sentimenti più nascosti, la musica è capace di farci sognare.
Penso che con la situazione politica attuale italiana tutti abbiamo avuto un pensiero per i rifugiati in Italia, ma quante volte ci siamo soffermati a sentire la loro versione?
Non sono qui per schierarmi politicamente e non è sicuramente il nostro settore di competenza, ma la musica è un ottimo messaggero.
Sicuramente il gruppo di cui parliamo oggi ha un messaggio importante da trasmettere, un singolo dal sound eccezionale che ben interpreta le loro radici, quindi mi fa davvero molto piacere poter porre loro oggi qualche domanda.
Come nasce il gruppo dei primi rifugiati d’Italia e come avete scelto il vostro nome d’arte?
Abbiamo iniziato quasi per gioco. Con la sola voglia di suonare e creare insieme. Ci siamo incontrati ogni lunedì sera dal lontano novembre 2017 a Villa5 in Collegno nella sede della Cooperativa Atypica, la mamma di One Blood Family. Alti e bassi. Momenti di creatività esplosiva e momenti di vuoto. E piano piano abbiamo iniziato a suonare in giro. E sono arrivati i primi concerti degni di questo nome.
Abbiamo debuttato sul palco di Jazz is Dead a Torino
All’inizio eravamo in tanti … poi poco a poco ci siamo definiti, abbiamo capito chi eravamo e siamo diventati One Blood Family. Una sola famiglia. Famiglia di sangue. Unita da un sogno. Ecco perché questo nome.
Dal lancio del singolo “Life can change” : One Blood Family è un talentuoso ensemble multietnico che nasce da alcuni richiedenti asilo, ma non solo, che hanno saputo trovare nella musica il linguaggio adatto ad esprimere la rabbia e la speranza, a conquistarsi uno spazio in un “mondo nuovo” che spesso invece di capire e valorizzare, mette in discussione i pochi diritti faticosamente ottenuti.
Da dove nasce l’ispirazione per questo singolo?
Con Life can Change abbiamo messo in musica la nostra stanchezza nel scavalcare continuamente muri e confini, ma anche la bellezza di un viaggio attraverso diversi ritmi che ci emoziona per la sua energia. Nella nostra canzone abbiamo messo la nostra Africa, quella vera, vissuta, quella che manca come l’aria.
Abbiamo cantato di colori, di sapori, dei nostri sogni e di quanto manca la nostra famiglia in senso lato.
Speriamo che ripetere a noi stessi che la vita in ogni momento può cambiare sia speranza e forza per tutti i fratelli. Ora è duro, quello che stiamo vedendo e vivendo è pura follia. Ma in ogni momento…. Quindi troviamo ogni giorno la forza per alzare la testa e procedere…
Cosa significa al giorno d’oggi essere un rifugiato?
Domanda difficile. Per cominciare la maggior parte di noi sono ancora richiedenti asilo dopo più di 3 anni.
Essere richiedente asilo al giorno d’oggi vuol dire essere sospesi in un non tempo.
Soprattutto dopo il nuovo decreto Sicurezza da ottobre 2018, le cose sono cambiate molto. Non ci sono più servizi che rendono la qualità della vita per lo meno dignitosa. Finchè non viene stabilita una qualche forma di protezione, non siamo nessuno.
Io ora sono familiare di cittadino europeo.
In questi 5 anni di vita in Italia mi sono innamorato e abbiamo scelto con mia moglie di buttarci alle spalle tutto ciò che riguardasse la richiesta di asilo e di coronare il nostro sogno d’amore. Ma per altri membri della band è ancora lunga la strada e difficile è rimanere saldi.
Alle volte si offusca la vista, non si vede più al di la del muro. Tutto sembra perso.
La distanza dalla propria terra, vale la pena per quello che avete o che avete affrontato?
Domanda interessante. La distanza è troppa. E all’inizio non immagini quanta sia veramente. Te ne accorgi man mano, bus dopo bus, nazione dopo nazione, onda dopo onda.
Subito si ha forza da vendere nonostante tutto. Essere sopravvissuti fa si che tutte le energie rimaste vadano messe tutte nel progetto di vita. Nel costruire. Nell’aiutare a casa. Nel sentire che ne vale la pena.
Poi c’è la realtà. L’Italia. Un mondo che respinge e lascia senza fiato. Che toglie vita e speranza. Ruba i sogni.
E’ il momento della rabbia, della disillusione.
E’ un nuovo punto zero. E si riparte. Mattone dopo mattone si prendono le misure con i tempi così diversi da come credevamo. Non sappiamo ancora dire se ne è valsa la pena….ci risentiamo tra qualche anno?
Che cosa rappresenta la musica per voi? Nel gruppo ci sono diverse nazionalità, che impatto ha sul gruppo?
Siamo italiani neri, siamo Gambiani, siamo Senegalesi, siamo Nigeriani, siamo italiani bianchi…
Giovani, giovanissimi, meno giovani, maturi…. Ricchezza pura. La differenza spacca! Faticoso sì, ma ricco.
E come ci piace dire: la musica è l’unico linguaggio quando siamo insieme.
Ci sono altri progetti in mente?
I progetti e le idee sono tante!Nell’immediato stiamo lavorando al nostro disco, cercando di far uscire a breve altri singoli che rispecchino il più possibile le personalità di ognuno di noi.
Purtroppo la situazione adesso non è delle migliori ed è tutto un po’ fermo, ma le teste continuano a girare, forse anche più di prima, e appena sarà possibile torneremo in studio più carichi e vogliosi di fare!
Quali sono le vostre ambizioni per il futuro?
Ora come ora sarebbe ambizioso anche solo riuscire a vederci e abbracciarci con la Family per una cena!
Ma pensando più al futuro la nostra ambizione è quella di portare la nostra musica e le nostre emozioni sul palco, in giro a suonare tra la gente, questa è la nostra ambizione. E forse al momento non c’è cosa più ambiziosa.
Un messaggio per i lettori di Jam Session 2.0:
chi è causa del suo mal pianga se stesso. Forse un giorno riusciremo ad utilizzare le nostre risorse come se fossero davvero nostre, ma di noi tutti, non solo mie o tue.
Spero che questa situazione di reclusione ci insegni veramente qualcosa di nuovo. Ritorneremo a respirare, a lavorare, a vivere… e a riabbracciarci, ma non ancora. Per adesso non ce lo meritiamo.