Ciao Luigi e benvenuto.Parliamo del tuo nuovo album.
Terzo disco totalmente strumentale, come i tuoi due precedenti “16 Steps to the sky” e “A-Nova”, che ti vedono in veste di chitarrista, autore, arrangiatore e programmatore. Raccontaci qualcosa di più.
È un album nato dall’esigenza di rendere concrete le idee musicali che mi appunto durante le mie sessioni di registrazione casalinga. Riascolto tutto il materiale e mi concentro su quello che anche a distanza di tempo mi convince ancora. Ci sono delle musiche che già quando sono in embrione capisco che diventeranno brani strumentali e non canzoni tradizionali dove aggiungere la melodia per un brano cantato.
Cosa devono aspettarsi i tuoi ascoltatori da questo nuovo lavoro? “Be Positive” come si differenzia dai tuoi due precedenti dischi strumentali? Luigi Schiavone cosa vuole comunicarci?
Beh, in realtà è soltanto la continuazione di un percorso musicale che ho iniziato con i due album precedenti. Forse rispetto ad “A-Nova” (quello realizzato nel 2017) è un po’ più chitarristico e un po’ meno elettronico. I miei brani rappresentano più o meno i miei stati d’animo. I miei lavori strumentali non si rivolgono esclusivamente a chitarristi. L’obiettivo è che siano di facile “digeribilità” anche per orecchie meno “specializzate”…
L’album è composto da 10 brani (li citiamo in ordine: Better times will come, Endless frontier, Prove me wrong, Oki doki, Soul’s awakening, In the flesh, Tell don’t show, Intentionally, Veins, End on the right note), dove è la chitarra a fare da protagonista come strumento per comunicare a chi ascolta i tuoi stati d’animo, condividendo la tua dimensione e soprattutto la tua libertà di spaziare tra i vari generi musicali e sperimentare senza limiti. Si percepisce benissimo la tua bravura nel far sì che la chitarra stessa non risulti troppo ‘invadente’, il tutto nel rispetto dell’ottima resa artistica di ogni traccia.
Personalmente mi è piaciuta molto Prove Me Wrong, tra tutte c’è n’è una in particolare alla quale sei legato maggiormente?
Ovviamente sono molto legato a tutte le mie composizioni, anche perché sono frutto di un’accurata selezione… Dovendo sceglierne uno, quello forse che mi emoziona di più è l’ultimo, “End on the right note”.
Parliamo un po’ più di te.
Chitarrista e compositore italiano che esordisci negli anni Settanta nei Kaos Rock, band molto conosciuta nell’underground milanese, con i quali pubblichi due 45 giri e l’album W.W. 3 per la storica etichetta Cramps.
Come nasce la passione per la musica e quali sono stati gli artisti che hanno maggiomente influenzato il tuo stile?
Nasce da un’esigenza: quando ero piccolo in casa mia c’era un pianoforte al quale sostanzialmente non avevo accesso perché era ad uso esclusivo delle mie due sorelle maggiori che studiavano e si esercitavano…così quando ho compiuto 10 anni mi sono fatto regalare una chitarra e un metodo che si chiamava “Chitarristi in 24 ore”… in realtà ci ho messo un po’ di più…
I chitarristi che mi hanno ispirato di più sono tre: il primo sicuramente è quello meno noto: Alvin Lee. Mi portarono al cinema a vedere il film di “Woodstock” e rimasi folgorato dalla performance dei “Ten Years After” e di quel chitarrista con quella meravigliosa Gibson “335” rossa. Lì decisi che avevo “bisogno” di suonare la chitarra elettrica… Poi, per motivi diversi, sono stato influenzato da Angus Young e Brian May.
Successivamente nel 1981, dopo la fine dei Kaos Rock, cominci la tua lunga collaborazione con Enrico Ruggeri sia in veste di chitarrista, che in veste di autore (tra cui il celeberrimo brano “Quello che le donne non dicono” interpretato da Fiorella Mannoia e vincitore del premio della critica a Sanremo 1987).
Seguirà nel 1983 l’album, sempre di Enrico Ruggeri, “Polvere”. Con questo LP nasce anche il nucleo storico degli Champagne Molotov, band composta da te (chitarre), Renato Meli (basso), Stefania Schiavone (pianoforte), Alberto Rocchetti (tastiere) e Luigi Fiore (batteria) partecipando, sempre nello stesso anno, al Festivalbar e vincendo il Disco Verde come miglior artista giovane.Nel 1985 sarà poi la volta del Festival di Sanremo, nella categoria dei giovani, con il brano (sempre composto da te) “Volti nella noia”.Parlaci di quel periodo e delle tue esperienze in tour.
Quello fu un periodo in cui si suonava moltissimo. Non ho ricordi particolari…tanti viaggi, tante risate… e tanti concerti!
Come è stato lavorare con Enrico Ruggeri per tanti anni e confrontarti con tanti altri artisti del calibro di Gianna Nannini e molti altri? Qualche aneddoto divertente successo in tour? Vuoi fare qualche ringraziamento speciale a coloro che ti hanno supportato nella tua carriera artistica?
Ruggeri è stata la persona che ha trasformato un mio passatempo, quello della musica, in un lavoro a tempo pieno. Dopo 37 anni di collaborazione di aneddoti ce ne sono tantissimi…il primo che mi viene in mente è questo: in un tour degli anni 90 (credo) avevamo una scenografia che comprendeva due scivoli abbastanza ripidi. io partivo dalla cima di uno dei due scivoli e mi fermavo alla base. Il palco però una sera era un po’ più corto del solito e non riuscii a fermarmi…così andai a finire giù dal palco (fortunatamente in piedi!) e dovetti risalire dalla scaletta posteriore sempre continuando a suonare (avevo il trasmettitore)…la gente pensò che fosse una trovata dello spettacolo…in realtà rischiai di sfracellarmi al suolo!
Nel corso degli anni 90 pubblichi poi tre album da solista (nel 1991 La spina nel fianco, nel 1993 “Animale” e nel 1997 “III”) e nei primi anni 2000 fondi la cover band “Riff-Raff”, tributo agli AC-DC, con la quale suonerai per qualche anno per puro diletto, partecipando inoltre in giro per l’Italia alle serate “La notte delle Chitarre” insieme a Maurizio Solieri, Cesareo, Ricky Portera, Max Cottafavi, Luca Colombo, Mario Giuseppe Scarpato, Fabrizio Consoli e altri. Seguono ulteriori collaborazioni nel 2008 suonando nel brano “Tear down these houses”, brano di Skin, colonna sonora del film “Parlami d’amore” di Muccino e nel 2010 esce il tuo primo album completamente strumentale “16 Steps to the sky”, seguito nel 2017 da “A-Nova”. Il 2017 è anche l’anno della svolta teatrale iniziando la collaborazione con il duo Ale e Franz nello spettacolo “Nel nostro piccolo “ omaggio a Gaber e Jannacci, spettacolo che ti porterà in giro per i teatri di tutta Italia per oltre due anni.Insomma ti sei dato da fare… Come hai vissuto il passaggio dai ‘Palchi Live’ a ‘Teatro’? Hai riscontrato grosse differenze?
In realtà ho suonato tantissimo in teatro anche con Ruggeri. Lo spettacolo teatrale è la dimensione “live” che preferisco perché riesci a percepire l’emozione degli spettatori.
Tra tutti gli artisti con i quali hai lavorato, c’è n’è uno in particolare con il quale ti piacerebbe confrontarti e che ancora non si è presentata occasione?
Ho lavorato praticamente sempre con Ruggeri… Quindi sono aperto a qualsiasi altra collaborazione. Ci sono tanti artisti che mi piacciono e spero che si possa concretizzare qualcosa in futuro.
Vuoi aggiungere qualcosa? Prossimi impegni?
Spero di potere far conoscere il mio nuovo album a più persone possibile, anche se mi rendo conto che è un prodotto un po’ di “nicchia”. Nel frattempo continuerò a fare quello che ho fatto in quest’ultimo periodo: divertirmi con la musica. Dal vivo o in studio.
Grazie per la tua disponibilità.
Grazie a te.