Il Giardino Segreto è l’album di esordio di Miriam Foresti (data rilascio: 5 Dicembre 2018 ℗ 2018 Isola Tobia Label),  giovane cantautrice romana di nascita e aquilana di adozione. Dieci brani autobiografici che parlano di cambiamenti e rinascite attraverso sonorità folk, pop e jazz. L’album è stato registrato in presa diretta e vede la partecipazione di quindici musicisti e un ospite d’eccezione: Javier Girotto, sassofonista jazz di fama internazionale.

 

Ciao Miriam, benvenuta.
Parliamo del tuo nuovo disco. Da dove arriva il titolo e cosa rappresenta per te?

Il giardino segreto è il libro che da piccola mi ha fatto compagnia più di ogni altro, l’ho letto un’infinità di volte. Ero una bambina molto timida, mi rimaneva difficile aprirmi con le persone, per cui sognavo di trovare un posto come il giardino segreto dove poter scappare quando ne avessi sentito il bisogno e poter essere chi volevo essere. Quando si è trattato di dare un titolo al disco il mio primo pensiero è stato “Il giardino segreto”, che oggi per me rappresenta il posto dove è possibile rinascere, proprio come fanno le piante e  fiori di un giardino col susseguirsi delle stagioni.  

L’album è composto da dieci tracce, le citiamo in ordine: L’odore delle piccole cose, Libera, Che rumore fa, I Know a Place (feat. Javier Girotto), Quella sera, Domani ricomincio (feat. Javier Girotto), Father, Persa nel blu, La ballata del bucaneve e Seconda chance. Cosa raccontano i tuoi testi? Tra tutte ce n’è una in particolare alla quale sei legata? Personalmente mi ha colpito molto ‘L’odore delle piccole cose’, canzone tra l’altro accompagnata anche da un video su youtube che racconta un evento drammatico che ti ha coinvolta in prima persona… Ci racconti meglio in dettaglio?

Alcune canzoni sono storie, altre sono riflessioni, altre ancora descrivono sensazioni. Quasi tutte sono collegate da questo fil rouge del poter sempre ricominciare. Non c’è una canzone cui tengo in maniera particolare, sono state scritte in momenti diversi della mia vita – alcune risalgono a tanti anni fa, altre invece sono molto recenti –  sono tutte quindi parte del percorso che mi ha fatto diventare quella che sono oggi, ognuna è importante per un motivo diverso. “L’odore delle piccole cose” è legata al terremoto che nel 2009 ha colpito L’Aquila, la città dove sono cresciuta. L’ho scritta dopo essere tornata a casa due settimane dopo il sisma per prendere le mie cose: tutto era rimasto come quella notte, tutto tranne l’odore. Un odore strano, mai sentito, che non sapeva di ‘casa mia’ e che mi ha sbattuto in faccia che niente sarebbe stato più come prima. Quello che tanto disprezzavo, la routine fatta di piccole cose che mi “stavano strette”, all’improvviso diventava l’unica cosa che davvero volevo. 

Per noi aquilani l’anno del terremoto è un nuovo anno zero, c’è un prima e c’è un dopo. Il mio prima, tra le tante cose, era un’eterna indecisione e la mancanza di coraggio di scegliere quello che davvero volevo fare: la musicista. 

Nel tuo disco ci sono inoltre omaggi e citazioni: da Joni Mitchell in “Persa nel blu” a Nick Drake, al quale è dedicata “I know a place”, all’universo jazz con “Quella sera” (costruita sugli accordi dello standard “There will never be another you” di Harry Warren e Mack Gordon) ed a quello gospel con “Father”. Ospite d’eccezione dell’album è Javier Girotto, sassofonista e compositore jazz di fama internazionale. Come vi siete conosciuti e come è stato rapportarsi con lui?

Prima di registrare il disco non conoscevo Javier personalmente, l’avevo ascoltato diverse volte in concerto ed ero rimasta colpita dal suo suono, riconoscibile tra mille. Quando ho scritto “I know a place” fin dal primo momento ho immaginato nell’arrangiamento il sax soprano. Non sapevo ancora a quale musicista avrei affidato la canzone, parlando con un amico buttai la frase “Certo, sarebbe bello se la suonasse Javier Girotto” e lui mi disse “Chiamalo!” E così ho fatto. Mi sono procurata il suo contatto e gli ho mandato il brano, a lui è piaciuto e la settimana dopo eravamo in studio a registrare. È stato di una disponibilità estrema, in studio si è creato un bel clima, così alla fine ha inciso anche “Domani ricomincio”. 

L’album vede la partecipazione di oltre 15 musicisti con la particolarità di essere suonato quasi interamente live con pochissime sovraincisioni. Come mai questa scelta? Ci racconti qualche dettaglio in più? Vuoi ringraziare qualcuno in particolare?

La scelta è dovuta al tipo di suono che volevo creare. Oggi, soprattutto nel pop, la tendenza è quella di registrare sovraincidendo gli strumenti uno dopo l’altro, correggendo tutto fino alla perfezione, creando un suono finto per quanto è pulito e che poco ha a che fare con la mia idea di Musica. Mi piaceva l’idea che le registrazioni fossero fotografie di momenti unici e irripetibili, così abbiamo registrato in presa diretta, lasciando spazio all’improvvisazione e a scelte stilistiche del momento: se registrassimo cento volte il disco sarebbe cento volte diverso. Ogni musicista ha dato il suo fondamentale contributo, mettendo in campo la propria professionalità ma soprattutto, la propria anima. Sono molto grata ad ognuno di loro ed è per questo che voglio ringraziarli tutti: Antonio Marianella, Guerino Rondolone, Alessandro Scolz, Luigi Sfirri, Fabrizio Ginoble, Damiano Notarpasquale, Giuseppe Scarpato, Flavia Massimo, Augusto Marra, Marco Rotilio, Daisy De Benedetti, Nicoletta Taricani, Lucy Campeti, Rosa Mussin, 

Altra particolarità del disco è la chitarra acustica che assume un ruolo centrale in tutti i brani. Che rapporto hai con questo strumento?

La chitarra è il primo strumento che ho preso in mano da bambina ed è quello su cui ho scritto la maggior parte dei pezzi. Quel poco che so fare l’ho imparato da me, non mi sento una chitarrista, ma senza sono persa: è un po’ la mia copertina di Linus. È uno strumento magico, completo, dalle mille possibilità timbriche e che offre spunti compositivi grazie anche alle accordature alternative cui da poco mi sono approcciata. In questo l’ascolto di chitarristi folk mi ha influenzata ed ispirata.  

Parliamo un po’ più di te. Sei nata a Roma, cresciuta a L’Aquila e da qualche anno ti sei trasferita a Udine. Chitarrista autodidatta,  ti diplomi in Canto Jazz presso il Conservatorio dell’Aquila per poi specializzarti nella stessa disciplina presso il Conservatorio di Udine. Quale è stato il tuo primo approccio con la musica e cosa ti ha spinto a diventare cantautrice?

Il primo approccio è avvenuto in casa. Sono l’ultima di sei figli, tutti i miei fratelli hanno sempre suonato uno strumento, anche se nessuno di loro ha poi scelto la musica come professione. È stato mio padre a trasmetterci l’amore per la musica, da bambini ci cantava canzoni scritte da lui e dei blues improvvisati in un inglese maccheronico che mi divertivano tanto. Ogni occasione era buona per mettere su una jam session. E poi in casa c’erano i dischi: vinili, cd e musicassette che nel corso degli anni ho consumato dal primo all’ultimo. Il termine cantautrice mi mette un po’ di ansia, forse perché non mi sento all’altezza di quelli che sono stati i veri cantautori della musica italiana (ma anche straniera). Io so solo che ho iniziato a scrivere e a comporre perché aveva su di me un effetto terapeutico, ho detto prima quanto fossi timida, la musica in questo mi ha aiutata tanto, mi ha aiutato ad esternare cose che nei modi “convenzionali” non mi era mai riuscito di fare. 

A tal proposito nel 2017 sei stata ospite del Women in Music, festival itinerante tutto al femminile dedicato appunto alle cantautrici. Raccontaci qualcosa di più di quell’esperienza…

Il Women in Music è un’idea della chitarrista e cantante friulana Eliana Cargnelutti, che ogni anno si svolge in una location diversa del Friuli (per questo “itinerante”). E’ un bel momento di confronto e condivisione con altre artiste, un’occasione di arricchimento reciproco e un buon mezzo per diffondere musica originale, cosa che oggi è tutt’altro che scontata. 

Nel corso degli anni sei stata anche voce solista di tanti spettacoli come “Sciuscià ed altre storie”, “Un incontro tra Cinema e Teatro” confrontandoti con artisti del calibro di Davide Cavuti , Michele Placido, Toni Trupia, Francesco Scianna e molti altri.
Nel 2013 sei tra gli otto finalisti del concorso nazionale Premio Pigro, omaggio a Ivan Graziani.

Dagli esordi ad oggi come pensi sia cambiato e maturato il tuo modo di scrivere e comporre?

Se mi guardo indietro vedo un lungo percorso fatto di studio, sacrificio e dedizione, e certamente nel corso degli anni tante cose son cambiate, ma credo sia presto per fare un bilancio, sento che è di più la strada che ancora devo percorrere e che non vedo l’ora di scoprire, in un certo senso mi sembra di aver appena cominciato. 

C’è qualche genere musicale o anche artista con il quale ti piacerebbe confrontarti e che fin ora non si è presentata occasione?

Non c’è un nome o un genere in particolare, sono aperta a qualsiasi tipo di esperienza, spero di poter collaborare con persone che ne sanno più di me e con percorsi diversi dal mio, e introiettare ognuno di questi incontri nella mia musica. 

Vuoi aggiungere qualcosa? Prossimi progetti?

Portare in giro “Il giardino segreto”, scrivere musica nuova e registrare un tributo a Nick Drake, progetto su cui ho già cominciato a lavorare 

Grazie per la tua disponibilità.

Grazie a te!