Da venerdì 4 giugno è disponibile “Music saves our souls” (distribuzione Believe Digital Italia) il nuovo EP del pianista napoletano Manuel Zito. Cinque brani, cinque sensazioni profonde che le note di Zito contribuiscono ad ampliare, con tessiture sonore suggestive e ricche di fascino.

Scambiamo due chiacchiere con lui.

Ciao e benvenuto a Jam Session 2.0

L’EP è stato anticipato lo scorso 23 aprile dall’uscita di “Youth” brano dedicato alla giovinezza, di cui è stato pubblicato anche un video sul canale Youtube, con la regia di Gabriele Paoli e il 14 maggio dal brano “Aurora Borealis”.

Raccontaci meglio in dettaglio. Come nasce il progetto e cosa vuoi trasmettere a chi ascolta?

Il progetto è nato nel mese di febbraio di quest’anno ed è una sorta di continuazione di un Ep uscito a giugno dello scorso anno, “Nineteen”, scritto durante il primo lockdown del 2020.

Voglio trasmettere in particolare 2 cose: la mia ricerca e curiosità musicale e l’importanza che ha la musica nelle nostre vite, sia nei momenti felici che, soprattutto, in quelli difficili.

Vuoi fare qualche ringraziamento speciale a chi ha preso parte a questo tuo nuovo lavoro?

Sembra scontato ma voglio ringraziare la mia compagna e la mia famiglia che mi sostengono nel mio lavoro da compositore. Ringrazio anche tutte le persone che ascoltano la mia musica e i colleghi musicisti, con cui mi confronto spesso e da cui traggo degli spunti di riflessione per portare avanti la mia ricerca musicale.

Dal 2019, grazie all’exploit su Spotify del tuo brano “Ann’s Lullaby” che ha totalizzato ad oggi oltre 4 milioni di ascolti, complessivamente le tue composizioni hanno superato i 10 milioni di streaming.

Un caso davvero eccezionale per un artista di musica strumentale contemporanea ed una piacevole riconferma che la musica ha davvero un potere terapeutico sulle ferite dell’anima.

Come vedi la scena musicale qui in Italia, riguardo la musica strumentale?

Nel “sottobosco” musicale in Italia c’è tantissima musica di qualità. Direi anche che c’è una nicchia di pubblico pronta ad ascoltare sia sulle piattaforme digitali che i concerti dal vivo. Il problema è la scarsa visibilità che abbiamo nelle radio e in televisione, oltre che poche possibilità di suonare dal vivo, a parte qualche festival pianistico, come i vari Piano City, ecc.

Ci sono alcuni colleghi che sono molto più conosciuti all’estero che in Italia, penso sia una cosa grave.

L’EP  è composto da cinque brani, li citiamo in ordine:

Far away, Aurora Borealis, Youth, SOS , Back from the Abyss.

C’è una canzone in particolare alla quale sei più legato e che pensi l’ascoltatore debba soffermarsi maggiormente?

I pezzi sono 2 , Aurora Borealis e Youth. Sono legati a 2 esperienze importanti della mia vita: la registrazione del primo disco e i concerti che ho fatto in Islanda e il mio lavoro da pianista per la danza, per cui ho a che fare con gli adolescenti. Il motivo per cui penso che l’ascoltatore debba soffermarsi è lo stesso: sono brani dove il pianoforte è il principale protagonista ma insieme ad esso ci sono altri suoni che arricchiscono i 2 brani. E’ una strada che ho intrapreso da tempo: il suono acustico è fondamentale e quasi sempre protagonista nella mia musica, ma arricchito da altro.

Parliamo un po’ più di te.

Inizi a suonare e studiare il pianoforte a soli 5 anni. Nel 2002 ascolti il disco “A rush of blood to the head” dei Coldplay che ti porta ad ascoltare e a suonare anche musica “non classica”. Parallelamente allo studio del pianoforte, per il quale consegui il diploma al Conservatorio “S.Pietro a Majella” di Napoli nel 2012, inizi a suonare con gruppi di vario genere, esibendosi in giro per l’Italia.

Che ricordi hai dei tuoi esordi?

Nel corso degli anni chi sono gli altri artisti che hanno maggiormente influenzato le tue composizioni e il tuo sound?

I primi gruppi e le prime esperienze in giro per l’Italia le ricordo come un’esperienza bellissima e un bagaglio che mi porto dentro, soprattutto quando suono dal vivo. Nel corso degli anni ho suonato con Sasha Torrisi (ex Timoria), a 21 anni, e con il mio progetto più importante, la PiccolaOrkestraPerPrestazioniOccasionali, ho calcato il palco del Meeting del Mare e del Meeeting delle etichette indipendenti (MEI) nel 2014.

Nel mio percorso da pianista/compositore ci sono alcuni artisti che mi hanno segnato: sicuramente Olafur Arnalds, per il suo utilizzo dell’elettronica insieme al pianoforte e agli archi, Nils Frahm, per il suo suono di piano con la sordina, che dà un sound più intimo ai brani.

Ci sono altri compositori sia classici che contemporanei che mi influenzano e ascolto sempre con piacere: Debussy, Satie, Ravel, Morricone, Sakamoto.

Seguiranno poi numerose collaborazioni che ti porteranno ad esibirti nelle principali città italiane e all’estero, con un tour di 6 date in Islanda e una serie di concerti in Spagna, Bulgaria, Svizzera.

Tra tutti gli artisti con i quali hai collaborato, chi ti ha regalato il ricordo migliore?

Con chi ti piacerebbe confrontarti, musicalmente parlando, anche se non si è ancora presentata occasione?

Ogni artista sicuramente mi ha lasciato qualcosa ma indubbiamente lavorare con Massimo De Vita, in arte Blindur, che mi ha aiutato nella produzione artistica del primo disco “Fernweh” mi ha lasciato qualcosa di particolare, poiché abbiamo condiviso l’esperienza più importante della mia carriera musicale. Stiamo preparando il secondo, che probabilmente uscirà in inverno.

Beh, direi che confrontarmi e collaborare con Arnalds e Frahm non sarebbe male! Ma un compositore con cui mi vorrei confrontare è sicuramente Max Richter, grande compositore di colonne sonore. Secondo me scrive benissimo per orchestra d’archi (e scrivere colonne sonore è il mio sogno nel cassetto).

Proprio in Islanda scegli di registrare il tuo primo disco “Fernweh”, al “Sundlaugin Studio”a Mosfellsbær  di Reykjavik, lo studio dei Sigur Ros dove hanno registrato, tra gli altri, Damien Rice, Yann Tiersen, Bjork.

Raccontaci maggiormente di questa esperienza, che riscontro musicale hai avuto con l’estero?

Hai trovato particolari differenze con l’Italia oppure la musica strumentale, come confermano i tuoi forti ascolti, la si può considerare ‘universale e senza tempo’?

Lavorare in un “tempio” della musica è stata una cosa veramente incredibile ed emozionante per me. Il fonico che ha registrato il mio disco, è stato lo stesso che ha registrato Takk dei Sigur Ros, ha registrato gli archi di Vulnicura di Bjork, etc. Quindi, con la scelta dei microfoni, dell’ambiente e dei piccoli consigli, ci ha aperto a nuove possibilità che io e Massimo non avevamo pensato subito. Poi quel luogo ha una specie di “magia” che ,secondo me, è entrata nel disco.

La musica strumentale è indubbiamente universale e senza tempo, il problema è la mentalità italiana. All’estero ho trovato grande considerazione del lavoro e del ruolo del musicista. Qua, ahimè, un po’ meno. Sono diplomato in piano, continuo a studiare, a ricercare e tutta questa esperienza viene messa nella mia musica. E’ un peccato che tanti musicisti, non solo di musica strumentale, debbano fare un altro lavoro per vivere.

Vivere di musica è più facile in altri Paesi nel mondo, questo è fuori dubbio.

Dovendo fare un bilancio, dai tuoi esordi ad oggi, Manuel Zito come è cambiato e maturato artisticamente parlando, anche dal punto di vista compositivo?

Le esperienze, il confronto con gli altri e la curiosità mi fanno percorrere una strada sempre in evoluzione. La mia musica è fortemente influenzata dalla musica classica, dalla ricerca delle armonie e dei timbri. In questo periodo storico la ricerca timbrica può essere, per esempio, l’utilizzo dei pedali per chitarra sul piano, come ho fatto in alcuni brani, o l’utilizzo di apps musicali da iPad come veri e propri strumenti.

Parallelamente svolgi anche attività musicale nei Licei Coreutici in varie parti d’Italia.

Che scena musicale italiana riscontri fra i giovani di oggi e quali sono le difficoltà o lacune, se ci sono, che andrebbero migliorate?

I giovani sono influenzati nell’ascolto della musica dalla loro fruizione di essa: conoscono i brani soprattutto attraverso i socials, per questi i generi come la Trap, il Rap, il Pop, vanno molto in voga. La difficoltà è far conoscere loro che esiste anche altro.

A volte i miei brani vengono coreografati o faccio ascoltare loro delle mie composizioni per scopi didattici. Spesso, con mia grande sorpresa, i ragazzi sono rapiti da suoni diversi rispetto al solito.

Provare a far ascoltare altri generi ai giovani è importante, ma per fare questo c’è bisogno di pazienza e molta capacità di ascoltare le loro esigenze per entrare in empatia.

Hai date in programma? Prossimi appuntamenti o tuoi progetti?

Per adesso l’unico concerto che ho è quello di agosto a Martina Franca (Ta) ad agosto, all’interno del festival Piano Lab. Sto scegliendo lo studio di registrazione per il prossimo disco, sicuramente vorrei fare un’esperienza intensa, come quella del primo.

Grazie per la tua disponibilità.