Francesco Sgrò, classe 1989, è un cantautore molto sensibile, preciso e attuale ma con un bagaglio musical-culturale ampio e variegato. Manca pochissimo all’uscita del suo primo album, ma già si è fatto conoscere negli ultimi anni con brani come In differita. Apriamo la porta al “cantautore domestico” Sgrò?

Chi è Sgrò, Francesco Sgrò?

“Francesco Sgrò contiene Sgrò, Sgrò non so se contenga tutto Francesco”.

La musica per te pare sia un’alleata e non solo un mezzo per esprimere te stesso e per “salvarti”, corretto?

“Qualche tempo fa ho visto un’intervista in cui Battiato a un certo punto diceva questa cosa, cioè che se toglieva dalla sua giornata la pratica della meditazione, se veniva meno quel momento di trascendenza, per lui, la vita era inutile e insopportabile e non valeva la pena vivere. Mi è venuto in mente che qualche anno fa, mentre aspettavo il 14 alla fermata di piazza Malpighi, qui a Bologna, pensai che, per me, scrivere canzoni è la sola cosa che mi fa mettere i calzini e le scarpe, indossare un paio di jeans, un maglione e una giacca e uscire di casa. Ed è anche la sola cosa che mi fa guardare l’ora, pensare che è tardi, salutare tutti, cercare le chiavi e rientrare a casa”.

Da quanti anni fai musica? A tuo parere sarebbe stato meglio farti conoscere prima con talent o reality ad hoc?

“Mi sono avvicinato alla musica da bambino. Il pianoforte è stato il mio primo incontro poi, da adolescente, la chitarra. Per il resto che mi chiedi, farsi conoscere con un talent è un grandissima opportunità, se uno ha qualcosa da dire mi sembra che possa essere una strada affascinante”.

C’è qualcosa che non rifaresti nel tuo percorso musicale, o che affronteresti diversamente?

“Sicuramente eviterei di chiudere a chiave in casa la mia voce. Ho rimandato di cantare le mie canzoni in pubblico per così tanti anni, ma così tanti anni, che adesso mi faccio tenerezza. Sono anche oltre la fase della rabbia. Non ho avuto coscienza che me la stavo raccontando, peccato”.

Quali sono state le tappe salienti della tua vita di cantautore finora?

“Aver lavorato a un disco, il mio primo disco, che uscirà tra poco. Questo significa aver lavorato moltissimo alla scrittura delle canzoni ed essermi confrontato con musicisti molto diversi da me. Ho dovuto far entrare dentro me la parola umiltà, che già conoscevo bene, ma non così a fondo. Altre tappe fondamentali sono state quelle di aver pubblicato alcuni singoli, il primo a marzo 2020, e poi aver suonato, questa estate, sia in alcuni festival che per strada”.

Credi manchi qualcosa al mercato discografico odierno italiano?

“Forse manca la fiducia nei progetti a medio e lungo termine”.

Immaginiamo…se potessi, oggi, realizzare musicalmente tutto ciò che vuoi, senza alcun limite di budget, di collaborazioni, ecc. cosa faresti?

“Chiederei a Jovanotti, Giovanni Truppi, Emma Nolde e Margherita Vicario se hanno voglia di farmi assistere alla scrittura delle loro canzoni, fin dalle prime bozze di strofa, di ritornello, di testo. Un erasmus in casa di ognuno di loro a prendere appunti, studiare, riflettere. Ecco cosa vorrei”.

Scrivi i testi dei tuoi brani pensando ad una morale o scrivi di getto ciò che ti passa per la mente senza pensare ad un “prodotto da commercializzare”?

“Sai che non vedo la distinzione che fai? La canzone, anche la più scomposta e destrutturata, impone che un’urgenza comunicativa, che è incandescente e indefinita, diventi comunicabile e, perciò, commercializzabile. Non ci vedo niente di male. Un brutto prodotto commerciale è, per me, un prodotto la cui urgenza comunicativa è scadente. Ci sono canzoni con miliardi di ascolti, e quindi spesso accusate di essere scritte a tavolino, in cui sento sincerità ed è bellissimo”.

Stai bene, il tuo ultimo singolo, parla di depressione, un tema molto delicato e ostico. In particolare parli dello stare accanto a chi è depresso…tu cos’hai capito sull’argomento?

“Che la depressione ha un nome proprio e non ci sono tesi generali che reggano. È sempre un’esperienza soggettiva”.

La tua musica ha potuto aiutare chi accanto a te era depresso/a?

“No. Di sicuro ha aiutato me e continua a farlo quando vengo investito dai miei stati depressivi”.

Argomento a piacere…

“Lascio lo spazio all’emozione. Sono molto contento esca finalmente questo mio primo disco tra pochissimo!”