Chi sono gli Smile, perché il primo album si intitola The name of this band il Smile, perché ascoltarli? Scopriamo queste e più curiosità sulla band torinese, assolutamente da tenere d’occhio, nell’intervista esclusiva per Jam Session 2.0.
Chi sono gli SMILE?
“Quattro ragazzi di Torino che, a trent’anni, hanno messo insieme le loro esperienze musicali passate per suonare canzoni. Siamo Michele Sarda, che qui canta e basta mentre in altre band suona il basso e la chitarra; Hamilton Santià, chitarrista; Francesco Musso, batterista; Mariano Zaffarano, bassista. Abbiamo tutti lavori più o meno precari, più o meno pagati, più o meno soddisfacenti e cerchiamo di raccontare una quotidianità sincera attraverso canzoni da tre minuti”.
Venite presentati come “un disagio tanto personale quanto collettivo di una società sospesa senza apparente via d’uscita” ci spiegate meglio e nel dettaglio?
“La retorica della canzone pop in questo momento è sospesa tra evasione e invenzione. Il successo, l’autodeterminazione attraverso il consumo, ma anche l’escapismo dell’amore da cucina+tinello. Anche la musica underground spesso ha dimenticato il suo ruolo di ‘operazione verità’ per parlare di niente. Invece l’unica cosa che ha senso fare in questo momento, secondo noi, è raccontare il mondo per come lo vediamo oggi. Un mondo in crisi, sospeso, con un futuro incerto, disuguaglianze crescenti, sorveglianza di massa, lavori alienanti, consumismo materiale e immateriale, incertezze sentimentali e affettive”.
La vostra musica rispecchia la precarietà di oggi e il quotidiano, ma avete mai la voglia anche di scrivere qualcosa di allegro, speranzoso, positivo al massimo?
“Dipende da cosa intendiamo con allegro, speranzoso e positivo. Veniamo da Torino, la città dei Righeira. A un primo ascolto, Vamos a la playa sembra un pezzo stupidino, un tormentone estivo, eppure parla di ansia e paura del futuro. La felicità è un sentimento molto complesso”.
Nella vita di tutti i giorni gli Smile vivono solo di musica?
“Più che altro sarebbe il caso di sfatare il falso mito per cui c’è stato un periodo storico in cui le band che fanno musica in un certo modo abbiano mai vissuto alla grande con la musica”.
Il vostro primo disco è “The name of this band is Smile“: può essere un album che vi racconta appieno?
“È un album che racconta pienamente quello che è stato il primo anno della vita di questa band. Una fase 1, sì”.
Broken Kid invece è il singolo estratto, fuori ora: 3 motivi per ascoltarlo fino a saperlo a memoria?
“Perché racconta benissimo le sensazioni di un trentenne di oggi che non vuole fingere più. Perché ha dato la possibilità di girare un bellissimo videoclip. Perché quando l’abbiamo suonata la prima volta abbiamo avuto subito la certezza di aver scritto qualcosa di cui essere fieri”.
Di Broken Kid è fuori ora anche il video. Quanto è importante per voi la parte video e la grafica nei vostri lavori?
“È fondamentale. Chiunque dica l’opposto sta mentendo. Un progetto musicale deve essere riconoscibile in ogni suo aspetto, dalla grafica al video. Su questi aspetti siamo molto attenti e abbiamo la fortuna di lavorare con degli amici e professionisti che conosciamo da vent’anni e che condividono la nostra visione del mondo. La nostra è anche una famiglia allargata, una comunità”.
Quanto ha inciso sulla vostra musica questo anno di pandemia?
“Per fortuna il disco è stato scritto prima della pandemia. Lo abbiamo registrato in buona parte prima che tutto quanto scoppiasse e siamo riusciti a concluderlo tra una zona rossa e l’altra. Altro discorso purtroppo per i concerti. Come tutti, eravamo pronti a girare e ovviamente questo non è stato più possibile”.
Dove vorreste esibirvi prima o poi?
“Avendoci il Covid preso un anno delle nostre vite, adesso vogliamo suonare ovunque”.
Progetti futuri?
“Abbiamo già tante idee e canzoni che vogliamo registrare il prima possibile. Ma prima di pensare a un nuovo disco, che comunque è in cantiere, c’è da occuparsi di una giusta promozione live per The name of this band is Smile”.