“Dedalo”, il nuovo album di Filippo D’Erasmo è fuori dallo scorso 10 marzo, un lavoro durato due anni definito come una sorta di auto-psicanalisi.
“La scrittura mi è sempre servita come strumento per fare chiarezza” afferma D’Erasmo, e in questa intervista esclusiva per JamSession 2.0 ci svela anche molto di più.
Chi è Filippo D’Erasmo, come ti presenteresti ai lettori di JamSession 2.0?
“Filippo D’Erasmo è un ragazzo timido che si esprime mettendo le parole in musica. A volte addirittura ci riesce”.
Hai definito la tua musica, o almeno questo ultimo album come terapeutico: come ti senti ora che le tracce sono state prodotte? Ti è servito questo lavoro di scrittura?
“Mi sento bene: è stata una lunga gestazione, ora che il disco è finalmente uscito sento come se creativamente si fosse liberato un grande spazio. La scrittura mi è sempre servita come sfogo emotivo, rielaborazione di certi ragionamenti o di certi fatti che mi hanno emozionato e che sento il bisogno di mettere nero su bianco”.
Come vivi invece le fasi di registrazione dei brani? Sono terapeutiche anche quelle?
“Sono terapeutiche su un altro piano. Quando mi dedico agli arrangiamenti, quindi alla parte puramente musicale senza pensare alla componente testuale, spesso entro in una fase fuori dal tempo e dallo spazio, mi sento fortemente nel qui e ora. Poi ci sono parti più delicate, come la registrazione delle parti vocali, spesso soggette all’emotività del momento. Ciò fa parte anche della magia del processo che rende una canzone unica, perché particolare è il momento in cui viene registrata e fissata”.
Da cosa “ti ha salvato” la musica?
“Innanzitutto da me stesso, dai miei demoni. Li ha ridimensionati, ha impedito che mi divorassero da dentro e che diventassero dei giganti. E poi mi ha salvato dall’omologazione, dal senso di sentirmi sbagliato perchè differente. Infine mi ha salvato dalla mia introversione, probabilmente senza la musica sarei diventato un hikikomori”.
Sono previsti dei video?
“Nessun video previsto per ora, a meno che qualche gentile e capace lettore non si offra volontario per realizzarne qualcuno :)”
Ci parli della copertina del singolo Dedalo? Scegli tu le grafiche dei tuoi lavori?
“Per la realizzazione della copertina di questo disco ho voluto cimentarmi io stesso. Lo scatto è stato fatto da me la scorsa estate a Levanzo, un’isola nelle Egadi: l’ho sempre trovato molto evocativo. Poi ho voluto renderlo un po ’più particolare giocando con le alterazioni cromatiche. Così è nata la copertina di Dedalo. Questa è la prima copertina di cui mi occupo direttamente, fino ad ora ho sempre collaborato con amici illustratori, fotografi o grafici”.
Utilizzi titoli dei brani molto raffinati, “Dedalo” e “Piccoli piaceri borghesi” ne sono un esempio: c’è una ricerca mirata o è semplicemente il tuo stile, il tuo modo di scrivere, di esprimerti, di essere?
“Penso che sia semplicemente il mio stile, non sono cose alle quali faccio caso consciamente. Sono espressioni che ritengo possano racchiudere un concetto, un’idea, una narrazione. Quando mi viene qualcosa di evocativo, questo diventa il titolo della canzone o del disco in questione. Non è un processo troppo mentale, quanto istintivo”.
Come ti vedresti su palchi come Sanremo, che negli ultimi anni “scopre” giovani promesse?
“Guarda, rispetto ad alcuni anni fa, oggi non mi sento di fare da detrattore nei confronti di Sanremo. Penso sia un enorme palcoscenico da sfruttare per fare arrivare il proprio messaggio artistico ad un pubblico molto vasto. Ovviamente come tutto ciò che riguarda il mainstream, questo ha i suoi lati positivi come i suoi lati negativi, quali quello di trovarsi esposti alla gogna del grande pubblico generalista. Ma se si hanno le spalle larghe e ce la si gioca bene, ecco che Sanremo può diventare un potentissimo canale per comunicare con nuove persone, che in altri modi difficilmente avrebbero modo di conoscere la mia musica”.
Eleonora Tredici