Poco ci importa delle critiche, poco ci importa degli elogi.
L’importanza del premio Nobel per la letteratura a Bob Dylan rende felici anche i più piccoli cantautori.
Se poi a meritarlo è un grande artista che, con le sue parole e la sua musica, ha segnato i tempi, questo rende ancora più felici.
E ci rende felici perché le canzoni sono riconosciute e vissute per quello che sono: espressione e forma artistica di scrittura e di linguaggio (che con la musica diventa universale), una cosa seria e allo stesso tempo così astratta da toccare le corde più profonde.
Le canzoni che ci fanno riflettere, piangere, ridere, cadere in qualche inspiegabile trip, alzare le spalle e andare avanti.
Le canzoni “semplici”, perché a volte la loro bellezza e verità risiede proprio in questo. Le canzoni “difficili”, forse non per tutti ma va bene così.
Le canzoni di quei cantautori che, come i poeti (ma senza essere uguali a loro), sono avvolti da un’aurea magica che puoi toccare con mano, lontana e vicina alla realtà.
Le canzoni di ieri che parlano anche di oggi, che parlano di me ma anche di loro e si, forse anche di te.
Le canzoni che riescono a dire ciò che senza musica non sarebbe possibile, non sarebbe permesso, non sarebbe facile, e magari sarebbe solo sognato o chiuso in gola.
Le canzoni che raccontano il mondo, le persone, le contraddizioni di ogni epoca e di ogni vita.
E quando le parole si incontrano con la musica succede qualcosa che somiglia ad una catarsi. E lo è.
Le canzoni, con le loro regole e senza regole. Con le penne sbaffate e i fogli strappati. Solitarie e condivise.
Come quella qua sotto, che tutti conoscono, in un’emozionante versione unplugged.
Le canzoni, quelle che toccano le porte del cielo.
E lo tocchiamo anche noi.